mercoledì 19 settembre 2007

America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo

RICERCA A CURA DI PICCHIOTTI DANILO

dal 24/11/07 fino al 4/5/08
presso Museo S. Giulia BRESCIA


“Il sublime è la risonanza di un animo grande”, si legge in uno dei frammenti attribuiti a Longino. Per cui se vogliamo guardare a tanta parte della pittura americana del XIX secolo, dobbiamo desumere che dotati di animo grande siano stati artisti straordinari come Cole, Church e Bierstadt solo per fare alcuni nomi. L’idea del sublime naturale infatti, attiene alla loro pittura, e a quella di molti loro compagni d’avventura, come un senso ineludibile di destino che dalla visione si fa subito gesto eroico, racconto, poema ancor più che romanzo. Il vedere stesso è un vedere che ha in sé il senso proprio dell’eroismo, della scoperta di nuovi spazi, di grandi spazi, dell’immensità. Quanto diversa, questa pittura, nel suo desiderio di essere essa stessa, senza mediazioni, spazio descritto, rispetto a quella contemporanea ad esempio francese, nella quale il luogo è quasi sempre il giardino domestico. E anche nelle molte volte in cui non è il giardino, il paesaggio ha comunque una sua connotazione che completamente sfugge alla Wilderness americana. La domesticità della natura impressionista, ma anche della foresta di Barbizon prima, non può che esistere in quel modo perché il confronto è con il luogo indicato da confini. La pittura americana dell’Ottocento vive, diversamente, il senso dell’illimite.
Per la prima volta in Italia verrà presentata, con una mostra molto ampia forte di circa 150 dipinti anche di vasti formati, la pittura americana del XIX secolo. Un grande progetto culturale che sarà affiancato anche da un convegno internazionale sullo stesso tema e da una serie di approfondimenti sulla letteratura americana del medesimo periodo. L’esposizione, curata da Marco Goldin che così porta a compimento alcuni anni di studio sul tema e molte visite alle collezioni pubbliche statunitensi, si avvale della collaborazione, in termini di prestiti, di tutti i maggiori musei americani, a cominciare dal Museum of Fine Arts di Boston che invierà a Brescia un nutrito gruppo di capolavori, da Thomas Cole fino a Sargent e Whistler. Ma non si può non segnalare la presenza di due tra le Istituzioni americane che promuovono la conoscenza dell’arte americana, come Terra Foundation di Chicago e lo Smithsonian di Washington. Sulla base di tutte queste collaborazioni prestigiose, la mostra di Brescia si candida a diventare un preciso punto di riferimento in Europa per gli studi del settore, anche in considerazione del fatto che i saggi in catalogo saranno opera dei principali curatori americani.
La rassegna sarà divisa in quattro sezioni, che consentiranno di ripercorrere un secolo intero di pittura, il XIX, che porta l’arte del Nuovo Mondo a livelli di incanto e magia assolutamente non immaginabili per il pubblico italiano, che sostanzialmente non conosce nulla o quasi di questa situazione. Poiché neppure i nomi più celebri, da Cole a Church, da Bierstadt a Heade, e poi al tempo dell’impressionismo d’oltreoceano da Hassam a Cassatt e da Sargent a Whistler, hanno avuto una particolare circolazione nel nostro Paese. Certo Mary Cassatt ha lavorato accanto agli impressionisti in Francia, e in modo particolare con Degas, ma non si può dire che il suo nome sia tra quelli maggiormente noti. Forse Sargent, anche per il suo essere nato in Italia e l’aver sempre avuto un rapporto particolare con il nostro territorio, può essere un nome appena più noto. Ma la peculiarità di questa mostra sarà proprio quella di spargere bellezza a piene mani con il privilegio di una inedita conoscenza da parte del visitatore.
Così si andrà dalla prima sezione nella quale gli esiti di un paesaggio ancora classicheggiante si mescoleranno – per esempio in Cole, Cropsey, Kensett, Brown Durand – a quelli di una certa scoperta dei grandi spazi della natura incontaminata, che saranno successivamente i grandi protagonisti della seconda sezione, nella quale l’idea del sublime naturale celebrerà i suoi fasti. Dedicata alla Hudson River School, dal nome del grande fiume che è stato una sorta di whitmaniana madre per tanti pittori, vedrà entrare in scena Church, Bierstadt, Heade, Hugh Lane, Gifford, ancora Kensett, Inness e altri ancora, intenti in un canto disteso a celebrare la vastità del nuovo mondo, con luci ancestrali che non hanno eguali nella pittura di tutti i tempi. A una terza sezione in cui alcuni tra i pittori americani si misurano con il loro “viaggio in Italia” caratteristico anche di tanti artisti europei, farà seguito, in conclusione, un’ampia parte dedicata al cosiddetto impressionismo americano, entro i cui termini si sviluppano i legami anche con l’impressionismo francese, che vede Mary Cassatt naturalmente in primo piano. Ma non è l’unica, se pensiamo per esempio a Theodore Robinson e alle sue visite a Giverny. Oppure a Homer, Metcalf, Breck, Butler, lo stesso Sargent. Ma poi sono di primaria importanza i nomi di Hassam, Twacthman, Merritt Chase, a segnare la conclusione di un secolo che dai grandi paesaggi della frontiera tocca adesso vertici anche nella ritrattistica, Sargent essendone il campione, nuovo “van Dyck”, secondo la definizione di Auguste Rodin

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