domenica 23 settembre 2007

l’opera di George Grosz IN ITALIA

ACURA DI.D.PICCHIOTTI


In particolare grafica, l’opera di George Grosz è ben nota e divulgata in Italia sopratutto dal secondo dopoguerra. Tuttavia il rapporto dell’artista berlinese con l’Italia inizia da assai più lontano, fra metà anni Dieci e primissimi Venti. E si è sviluppato secondo una propria dinamica: prima certamente essendo di avere ma poi soprattutto di dare, per consolidarsi quindi in un dialogo storico-critico che da un’attenzione d’ottica diciamo di parte (cioè di sguardo da una specifica posizione di “poetica”) si è assestato infine in una prospettiva d’analisi storiografica alla quale questa medesima mostra può ulteriormente contribuire. Una vicenda che del resto trascorre attraverso differenti possibili successive inquadrature della sua operatività: dal Grosz d’impronta futurista, metropolitano, al Grosz d’impianto “metafisico”, dadaista, al Grosz di pungente critica sociale, espressionista analitico, emblematicamente narrativo, infine al Grosz espressionista di sarcastica critica di costume in una società consumisticamente opulenta. L’occasione d’una delle maggiori retrospettive realizzate finora in Italia, e certo la prima così ampia a Roma, dove è anche apparsa poco più di ottant’anni fa la prima piccola monografia dedicatagli nel nostro paese, sollecita almeno la configurazione d’una traccia per una ricerca che ricostruisca tempi e modi della lunga e crescente fortuna dell’opera grosziana in Italia.
Componenti futuriste e “metafisiche” fra espressionismo e dadaismo, e fra pittura e grafica
Certamente Grosz vive a Berlino la maturazione prima della propria vena espressionista in un clima d’accelerazione dinamica di simultaneità compenetrate d’evidente matrice futurista, di cui peraltro parimenti seppure diversamente risentivano all’inizio dei secondi anni Dieci in particolare, per esempio, anche un Otto Dix, a Dresda, o un Max Ernst, a Colonia. Il suo incontro diretto con dipinti futuristi, di Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, era avvenuto a Berlino, fra 1912 e 1913, fra la edizione che vi si tenne nell’aprile 1912 la Galerie Der Sturm della mostra Les peintres futuristes italiens, partita da quella nella Galerie Bernheim-Jeune, a Parigi, nel febbraio precedente, e la riproposizione, nell’ambito dell’Erster Deutscher Herbstsalon, nel settembre-novembre 1913, accanto ad un’ampia presenza di opere di espressionisti tedeschi ma anche di cubisti francesi, di parte di quelle stesse acquisite allora dal banchiere Borchardt (circolate poi anche indipendentemente, a Colonia, a Monaco di Baviera, e occasione maggiore di consistente ricaduta di influenza linguistica futurista sull’avanguardia tedesca, come nel caso di Franz Marc) . Grosz medesimo, citando Boccioni, lo ricorderà nel 1946 nel suo Un piccolo sì e un grande no, sottolineando in particolare appunto la simultaneità dinamica (“I futuristi si sforzavano di fissare in un solo istante fatti accaduti in momenti successivi. Questa si chiamava ‘simultaneità’. Aspiravano a ritrarre il movimento”).  L’attenzione è in termini di linguaggio, percependovi un attrito di realtà che non riscontrava nei modelli cubisti, tacciati di formalismo. Tuttavia per i contenuti di impegno proletario Grosz sarà vicino a Majakowsky e a svolgimenti del futurismo russo; e all’inizio degli anni Venti collabora con “Lef”, sia pure in un momento già d’evoluzione macchinistico costruttivista e produttivista. Certamente un evidente tributo al dinamismo futurista (fra bocconiano e severiniano) impronta i modi di drammatico dinamismo urbano, conflittuale, bellico, quindi insurrezionale, della prima personale affermazione pittorica innovativa dell’espressionismo grosziano: da dipinti quali Esplosione, del 1917 (The Museum of Modern art, New York), a Metropolis (Colleción Thyssen-Bornemisza, Madrid), pure del 1917, ad A Oskar Panizza, del 1917-18 (Staatsgalerie, Stoccarda). Vi si connette, sul piano della grafica la Oleine Grosz-mappe, pubblicata da Malik a Berlino nel medesimo 1917, cartella di 20 litografie, d’accento compenetrativo dinamico d’eco futurista. 
Tuttavia  nel giro di pochi anni è invece una spiazzante                                     rarefazione di figurazione d’impronta “metafisica”, fra modelli architettonici e manichini dechirichiani e di Carrà, a offrire a Grosz, d’accento meccanico, nell’ambito della sua partecipazione dadaista (come del resto accade contemporaneamente entro questa al medesimo Max Ernst), nuove possibilità di figurazione sul fondamento dell’esperienza rivoluzionaria
spartacista del “Novembergruppe”, di forte accento di critica sociale. Come evidente in dipinti ad acquarello di ampie dimensioni quali Automi repubblicani (The Museum of Modern art, New York), o Jacobstrasse (Staatsgalerie Moderner Kunst, Monaco di Baviera), del 1920 . Ed è il presupposto linguistico sul quale Grosz costruisce pittoricamente, nei primi anni Venti, il proprio espressionismo appunto di critica sociale anticapitalistica e antiborghese, nell’ulteriore clima della “Neue Sachlichkeit”. Da tele conflittuali e linguisticamente composite quali Le colonne della società (Nationalgalerie, Berlino) o Eclissi di sole (The Heckscher Museum, Huntington, NY), del 1926, ad altre, immediatamente seguenti nelle quali si distende un diversamente composto linguaggio espressionista capziosamente rappresentativo, quali, per esempio Uomo e donna o Lotte con un vestito verde, del 1926 stesso, o Autoritratto con modella (The Museum of Modern art, New York), del 1928, che a loro volta premettono alla figurazione in particolare di nudi femminili degli anni Trenta e Quaranta, di forte accento erotico. Ma quell’impronta “metafisica” è anche il fondamento sintetico del linguaggio grafico sinteticamente narrativo che Grosz sviluppa nei suoi più noti cicli di litografie e di disegni pubblicati a cominciare da “Gott mit uns”. Politiche Mappe, del 1920, da Das Gesicht der herrschenden Klasse. 55 politische Zeichnungen, del 1921, a Abrechnung folgt! 57 politische Zeichnungen, del 1923, fino alle raccolte dell’inizio dei Trenta. Ed è allora che il dialogo con la ricerca artistica italiana si capovolge da una condizione di avere a una di dare, per l’esemplarità che viene ad assumere in particolare il sintetico narrativo critico grosziano, divulgato allora in Italia dal volumetto di Italo Tavolato pubblicato in più lingue nel 1924 a Roma dalle Edizioni di “Valori Plastici”, interamente dedicato a opere grafiche. Dell’impegno critico antiborghese che caratterizza le quali, nella denuncia cogente dell’“inferno fisiologico al quale la razza umana inferiore è condannata” nella degradante infernale condizione metropolitana, l’autore preferisce dare un’interpretazione di presupposto moralistico, che riconosce quell’impegno elevato “in un dominio metafisico”. E “Grosz delimita il confine fra fisica e metafisica, che separa nettamente l’umanità dalla borghesia.” La sua satira “è uno specchio ardente che riflette l’anima borghese, bruciandola”. 
Dialogo con futuristi e post, di “sinistra”, fra “Novembergruppe”, “Neue Sachlichkeit” e “Novecento“
All’inizio degli anni Venti i futuristi e i costruttivisti russi erano interessati all’affermazione grosziana del traguardo di “un realismo che facesse l’anatomia della società presente e nello stesso tempo puntasse verso le future aspirazioni dei lavoratori”, mettendo a punto “un’arte meccanica e obiettiva che ritraesse non l’individuo ma l’uomo collettivo e si basasse sull’abilità artigianale più che sull’ispirazione individuale”. E in “Lef” è infatti apparsa nel 1923  una traduzione del testo di Grosz del 1920. Ma se il rapporto non ebbe tuttavia conseguenze oltre la pubblicazione di suoi disegni in periodici russi, a causa della sua reazione negativa rispetto alle opere di suprematisti e costruttivisti verificatasi anche in occasione della grande mostra d’arte russa tenutasi a Berlino nel 1922 , in Italia quel rapporto seppure circoscritto non fu comunque senza conseguenze di riflesso. Sviluppando infatti una ulteriore tempestiva occasione di fortuna dell’opera di Grosz a Roma, in un ambito di discendenze da esperienze futuriste d’“arte meccanica”, per iniziativa di Vinicio Paladini nel momento della sua pratica “immaginista” (vicino a Umberto Barbaro, attento in particolare alla drammaturgia rivendicativa di Ernst Toller; negli anni della comune esperienza in “La Ruota Dentata”, 1927). Il quale Paladini apprezza esplicitamente la radicalità politica di Grosz recensendo, a Roma, in “Fede!” del 4 ottobre 1925 (a. III, n. 88, con il medesimo titolo) la raccolta di disegni politici L’aspetto della classe dominante.  Nel quadro di una volontà di “propaganda artistica nell’ambito della sinistra”, con “l’obiettivo di dimostrare lo spessore politico da un lato, la piena comprensione e godibilità da parte popolare dall’altro, della produzione artistica antitradizionale” (Carpi).  D’altra parte un altro filone di fortuna grosziana in Italia a metà degli anni Venti è nell’area del Futurismo giuliano, fra Giorgio Riccardo Carmelich ed Emilio Mario Dolfi, tramite certamente anche la divulgazione operata da Tavolato il cui volumetto del 1924 è subito segnalato nel periodico del gruppo “Energie Futuriste” (n. 7, Trieste, settembre 1924) . Nel corso ulteriore degli anni Venti Grosz espressionista critico e parallelamente il Dix coevo, spietatamente rappresentativo, sono riconosciuti come esponenti più spinti di una figurazione nuova, di matrice espressionista ma
di pratica d’oggettivazione rappresentativa ulteriore, altrimenti complessivamente definita appunto come “Neue Sachlichkeit”. Avviene anche in un’occasione rappresentazione d’insieme della scena della ricerca artistica tedesca, come nel padiglione nazionale nella Biennale veneziana del 1930, dove Grosz espone cinque dipinti di varia tematica, accanto, fra gli altri, in particolare a Dix , a Kanoldt, Schrimpf e Unold, in tale ambito, ma altrimenti a Beckmann , a Hofer , Schmidt-Rottluff , a Klee  . La pur brevissima voce che compare nel volume XVII dell’Enciclopedia Italiana nel 1933 offre la misura di un riconoscimento pur d’eccellenza tuttavia puntualizzato soprattutto sull’attività grafica in senso caricaturistico.  Che è poi l’ambito nel quale si ha la maggior ricezione in Italia in una prospettiva che da Scipione e poi Luigi Spazzapan e Mino Maccari (attraverso l’esperienza de “Il Selvaggio”), fra anni Venti, Trenta e Quaranta, corre a un Bruno Caruso, a un Giacomo Porzano, fra Sessanta e Settanta . Prospettiva che certamente scavalca il rovesciamento di valutazione, da flagellatore politico e morale di comportamenti e costumi ad esempio di “arte degenerata” che si è avuto in particolare nel 1938 di riflesso dalle iniziative naziste di denuncia dell’“arte degenerata”, fra 1936 e ’37, in particolare nella famosa mostra a Monaco nel giugno 1937; in particolare fra articoli di Pensabene e di Interlandi in “Il Tevere”, in “Quadrivio”,  e le pagine di “La difesa della razza” 
Dalla polemica del “realismo” alla storicità dell’impegno critico


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