sabato 9 febbraio 2008

«Psicologia dell'arte»

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

«Psicologia dell'arte» assume dunque, come scrive Formaggio, quel «senso lato» che le è stato spesso attribuito in Francia:
«non fa riferimento ad alcuna ricerca di carattere strettamente scientifico, ma sta ad indicare un'analisi sotto la superficie, un'indagine condotta sulle sotterranee connessioni che legano le attività individuali tra di loro e all'interno delle leggi di sviluppo di un'epoca, come Pure sulle parentele profonde che, nello spazio e nel tempo, continuamente corrono tra le forme apparentemente più lontane e più diverse delle umane civiltà»[
In questo caso, infatti, la psicologia dell'arte non si rivolge più agli specifici processi tecnici della creazione o a una determinazione di atteggiamenti e facoltà interiori in essa presupposte, ma scopre, attraverso un totale rivolgimento dei canoni iconografici della tradizionale Storia dell'arte, il significato di anti Destino attribuibile all'arte stessa, il suo significato «inattuale» che tende all'instaurazione di un esoterico Assoluto.
Vi è infatti, a parer nostro, una certa differenza fra ciò che l'opera di Malraux a prima vista appare, ovvero «un continuo dialogo, scintillante e barocco, coi capolavori di tutte le epoche» [88] e i vari significati teorici e ideologici che si nascondono nel dialogo degli stili e delle forme. Questi significati' implicano un'inter-pretazione, più che della storia dell'arte, della «condizione umana», della sua tragedia e della possibile esoterica catarsi attraverso l'arte. Al di là dunque di quella che sembra la principale proposizione teorica di Malraux nel campo dell'estetica, ovvero che l'arte è un'azione metamorfica che trasforma il mondo in stile, vi è un substrato ideologico che fa della sua opera una critica all'attuale rapporto arte/società e ai valori a tale rapporto connessi, in primo luogo la Bellezza, una critica che sfocia nella teorizzazione di un umanismo che solo l'arte è in grado di instaurare.
Ha quindi ragione Malraux stesso a sostenere che la sua opera non è né di estetica né di storia dell'arte ma, se proprio si vuole definirla, di filosofia generale o di filosofia della storia dell'arte. L'esperienza artistica assume, oltre al già rilevato carattere «formale», una dimensione soggettiva che si riferisce non alla psicologia dell'artista ma alla sua «volontà di creare», indipendente da qualsiasi istinto mimetico. In ciò, difficile dire con quanta consapevolezza, attraverso il «museo», Malraux introduce il discorso della «civiltà delle immagini» e della connessa questione, notoriamente affrontata da Benjamin, relativa all'aura dell'opera d'arte ed al suo valore cultuale. Malraux apre infatti il suo museo non alla totalità delle opere d'arte ma al valore costante in esse presente, cioè, in ultima analisi, al capolavoro. Tuttavia ciò che il museo immaginario «è» deriva dal nostro attuale esserci in quanto «se il museo è la proiezione dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni attuali, allora è l'arte contemporanea a decidere dei capolavori classici»[89]. Ricordando tuttavia che il fine ultimo di Malraux è pur sempre l'instaurazione di un Assoluto, si può concludere, con Morawski, che la sua visione del mondo, ovvero il museo immaginario creato su basi anti-realistiche ed anti-mimetiche, «è il risultato della reciproca azione di due fattori: la visione del mondo dell'autore della Psychologie de 1'art e i processi artistici del nostro secolo»
Instaurazione di un assoluto, umanesimo integrale, trascendenza dell'arte sono termini fondamentali nell'estetica di Malraux e, quasi paradossalmente se consideriamo il suo indubbio spirito non confessionale, ricordano l'arco di pensiero di un suo contemporaneo, Jacques Maritain, grandissimo filosofo e teologo neoscolastico oltre che uomo di cultura, come dimostra il suo libro su Bergson, di rara profondità analitica. Accostare tuttavia Maritain e Malraux potrebbe venire considerato arbitrario dato che i loro obiettivi sono senza dubbio opposti. Infatti, come scrive Dufrenne, «Malraux è il profeta di un umanismo disperato» mentre «Maritain ingaggia la lotta disperata della scolastica»: bisogna però considerare che «sono sempre gli abissi dell'anima che entrambi pretendono di esplorare, l'uno per trovarvi le energie di una volontà capace di dare un senso al non, senso fino ad appropriarsi della morte, l'altro per cogliere le tracce del sovrannaturale nella natura e svelare l'azione della grazia divina». Per entrambi, dunque, «l'esperienza estetica testimonia a favore di un misticismo»[
Cogliere nel sovrannaturale le tracce della natura significa per Maritain rendere espliciti i processi dell'intuizione creativa che, pur operando con organi sensibili e attraverso la materia, contengono in sé un «germe» divino:
«l'arte, come l'intelligenza (essa, in realtà, non è altro che l'intelligenza creatrice), considerata a parte e nella sua pura essenza, realizza tutta quella perfezione che è postulata dalla sua natura soltanto passando all'Atto puro»
Tale «misticismo», che è tuttavia ben più «saldo» filosoficamente di quello che Maritain stesso critica in certo bergsonismo, non è quindi distruzione dell'analisi intellettuale nell'atto creativo né adesione estatica a una «poesia pura» in quanto Maritain ha il suo punto di partenza nel rigore filosofico della filosofia tomista.
È tuttavia evidente che egli oscilla - seguendo in verità il movimento della stessa estetica francese - fra la concezione aristotelica dell'arte come virtù dianoetica che presiede al fare e quella platonica (o neoplatonica) che guarda alla poesia come divino «poiein»; e, in tali posizioni, si riavvicina sia alla «psicologia della creazione» quanto alla psicologia introspezionistica di Segond che, come lui, proviene da basi culturali cattoliche[93]. Entrambi sostengono infatti che l'arte deve «lottare» nel mondo, cercare di assomigliare non alle apparenze materiali delle cose «ma a qualcuno di quei sensi nascosti di cui Dio soltanto vede brillare l'iride sul volto delle sue creature, e proprio in questo assomiglierà allo spirito creato che ha percepito, alla sua maniera, questo colore invisibile»
Se si getta un rapido sguardo alla sua opera maggiore, Creative Intuition in Art and Poetry (senza quindi considerare in modo specifico l'«aristotelica» Responsabilité de l'artiste), si potrà notare che Maritain distingue l'intelletto speculativo dall'intelletto pratico, ovvero l'amore dell'essere e l'amore del fare. Su tale distinzione si basa quella fondamentale fra poesia e arte che, pur non potendo fare a meno l'una dell'altra, sono ben lungi dall'identificarsi. Per arte bisogna infatti intendere «l'attività creativa o producente, l'attività operante della mente umana» mentre per poesia non il semplice «scrivere versi» ma, come affermerà in altro contesto, decisamente «laico» ed «immanentista», anche Dufrenne, «un processo più generale e di fondamentale importanza: quella intercomunicazione fra l'essenza interiore delle cose e l'essenza interiore della creatura umana che è una specie di divinazione». In tal senso poesia «è vita segreta di ciascuna e di tutte le arti» [95] che ci obbliga a considerare l'intelletto sia nelle sue fonti segrete all'interno dell'anima umana, sia in alcune sue funzioni non razionali e non logiche: poesia è «poiein», e il fare che permette una specie di interpenetrazione fra natura e uomo. Se quindi l'intelletto speculativo conosce solo per amore del sapere, l'intelletto pratico conosce solo per amore dell'azione; la sua attività si divide in azioni umane da compiersi e in opere da farsi, ovvero, in altri termini, in «attività morale» e «attività artistica».
L'intelletto lievitato dal bisogno è «l'organo della creatività dello spirito»: orienta l'intuizione creativa «senza in alcun modo limitarla, anzi, rispettando e potenziando la sua libertà e integrità, le infonde intenzionalità, la trasforma da creatività pura automatica, quasi narcisisticamente beata di sè, in creazione di» [96]. La conclusione di Maritain - che lo conduce dal discorso analitico della creatività al problema della sua fonte originaria - è dunque che, se l'arte è una virtù creativa dell'intelletto che tende a generare in bellezza e che afferra, nel mondo creato, le segrete operazioni della natura per produrre una nuova natura, allora si può affermare che l'arte continua a suo modo la fatica della creazione divina. In quest'opera il senso logico non si perde nel divenire creativo ma sussiste assimilato al senso poetico come una sua stessa sostanza multiforme, si radica in quel «fondo» di creatività che Maritain chiama inconscio o preconscio spirituale. E'qui che la poesia e l'ispirazione poetica hanno la loro fonte essenziale, la radice comune di tutte le potenze dell'anima, attività fondamentale «in cui l'intelletto e l'immaginazione come le facoltà di desiderio, amore ed emozione, sono impegnate insieme»:
«le facoltà dell'anima si avvalgono l'una dell'altra, l'universo della percezione dei sensi è nell'universo dell'immaginazione, che è nell'universo dell'intelligenza. E sono tutte, entro l'intelletto, animate e attivate dalla luce dell'intelletto illuminante»
(liberamente tratto da testi vari)

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