mercoledì 8 giugno 2011

Gustav



Cara Marisa....finché abbiamo dei ricordi..... il passato dura... finché abbiamo delle speranze...il futuro ci attende....finché abbiamo degli amici....il presente vale la pena di essere vissuto....

Gustav era un uomo molto preoccupato, nella sua vita era riuscito ad inventare un congegno assai complicato che rendesse lo spazio e il tempo assai più da gestire ma nonostante tutto non era contento di questo. Azionando questo congegno riusciva a spostare il tempo a suo piacimento e spostandolo riusciva a ritrovare le cose, gli spazi come potevano essere stati nel passato e nel futuro e sistemarli come meglio voleva. Il presente si era modificato da questi suoi spostamenti nel passato e nel futuro al che riusciva poco ad apprezzarlo giacchè era un qualcosa che subiva variazioni rispetto agli altri due tempi e spazi. Lui stesso riusciva poco a riconoscersi nel presente, era scontento di questo e non sapeva come agire affinché il presente potesse essere autonomo e potesse svolgersi con l’imprevidibilità di qualcosa che accade che non è staccato da tutto ma ogni modo ha una sua autonomia e una sua accadibilità, che è frutto solo della vita che si esprime anche al di là delle logiche e delle conseguibilità. E’ si, era un uomo veramente interessante la sua vita si svolgeva nella ricerca di qualcosa di autentico e che sfuggisse a qualsiasi prevedibilità qualcosa che se anche avesse coinciso con una certa logica rimanesse imprevedibile per il fatto stesso che poteva succedere anche questo e ciò avrebbe reso anche questo un’ avvenimento imprevedibile. Nonostante avesse costruito il congegno sapeva che qualcosa avrebbe reso la sua scoperta e il suo uso completamente inutile era solo un divertissement, una ricerca che tendeva a penetrare apparentemente quello che per lui era l’impenetrabile e che per lui doveva essere solo esperienza da vivere. Concepiva la vita come un avvenimento solo vivibile un Esplorenziando dove accogliendo si viene accolti e dove il risolversi nel risolto è solo l’inizio di una nuova e continua evoluzione che non ha a che vedere con nessun teorema geometrico solo mentale ma che nella sua logica sfugge a qualsiasi logica. Quando pensava a tutto questo si sentiva rincuorato ricompattato in un qualcosa che apparteneva all’esterno. Sapeva che il presente così come gli si presentava era qualcosa veramente incerto e poco riconoscibile ma le sue convinzioni lo facevano sperare che tutto questo fosse solo apparenza, il suo congegno aveva potuto spostare il tempo e lo spazio e le cose ma la sua anima apparteneva alla vita profondamente e radicalmente. Questo congegno era solo uno dei tanti costruiti attraverso i quali Gustav si rendeva conto che si allontanava dalla vita per poterla avvicinare, un tentativo di riconoscere la Realtà offuscata dai condizionamenti di un vivere deviato, lo sapeva bene si sarebbe liberato del suo congegno appena possibile senza rancore. Era l’autenticità che lui cercava, prese il cappello e uscì di casa verso la vasca dei pesciolini rossi, si sentiva calmo gli aveva fatto bene pensare a tutto questo, camminò per strada con tutta la sua fragilità, con tutta la sua forza, con tutto il suo corpo con tutta la sua anima, con tutta la sua piccolezza e con tutta la sua grandezza, infondo si sentiva contento, si sentì rassicurato dalla sua precarietà e dalla sua eternità. Ad ogni passo che faceva si sentì, si riconobbe l’amore che viveva, un amore caldo permissivo che comprende, il leggero vento, il fogliame, si sentiva in sintonia, senz’altro avrebbe incontrato qualcuno con cui scambiare un accenno, uno sguardo, qualche parola. Arrivò pacato alla vasca dei pesciolini rossi, quando si fermò si accorse del vuoto che c’era stato fra il suo stato concettuale e il trovarsi vivo, un tempo e uno spazio che si poneva come rottura, Gustav si sentì improvvisamente scoraggiato, si accorse che non c’era stato passaggio, continuità nei suoi stati di essere, si sentì sperso di nuovo, fece qualche passo e si mise a sedere sulla panchina verde e si sentiva vivo ma dove? Quando? Eterno si, ma perso racchiuso nel suo essere, nel suo corpo adesso unico dove e quando immerso in un quando e in un dove nel quale lui non riusciva più a spandersi. Si sentì paralizzato, inerme, incomprensibile a se stesso e agli altri, non avrebbe potuto chiedere aiuto. La sua ricerca sarebbe continuata, tornò a casa, si tolse i vestiti piano piano, ricominciò ad essere in contatto con il mondo esterno, si sentì compatto e comunicante ed efficace. Si chiamava Gustav, era nato a Berlino nel 1940, era Professore di Diritto all’Università più famosa della città e aveva passioni di vario genere: il Teatro, la bella vita, il viaggiare, il conoscere nuove e interessanti persone, amava ed era amato da una donna stupenda, la quale professione era quella di concertista di violino e direttrice di una scuola di ballo, suonava stupendamente bene, era una donna che intuiva profondamente i disagi e gli umori di Gustav. Lo amava immensamente e devotamente, rispettava il suo dolore e la sua ricerca, lo amava teneramente e quando lui si distanziava da lei perché incapace di comunicare, lei se ne addolorava ma comprendeva. Gher era una donna che a differenza di Gustav era entrata nella vita da sempre e riusciva ad esprimersi ed essere in contatto con essa e con se stessa, anche lei era inquieta cercava il suo sogno forse un mondo ideale ma era una donna piena di entusiasmo, capace di sentire e vivere i propri impulsi, Gustav l’amava, amava questa forza di lei il suo essere nella vita, il suo essere viva con tante contraddizioni ma viva.
Gustav si accorgeva di aver creato un’altra dualità che non aveva possibilità di fondersi se non annullandosi vicendevolmente. E’ si Gustav apparteneva a quella razza di uomini, esseri umani la quale esistenza, l’essere consapevole di esistere e di godere di questo non era che frutto di una dura ricerca per uscire da tutte quelle forze contrarie che impediscono il fluire libero e compiacevole della vita. Si ritrò sulla vecchia e fedele poltrona, stanco e desolato, si sentiva sconfitto la sua volontà di vivere era ancora stata soffocata, ogni sua cellula pignolosamente messa a tacere. Avrebbe potuto urlare ma nessun elemento del suo corpo avrebbe potuto collaborare a questo impeto e quindi tacque, persino le sue estremità deluse si afflosciavano nelle vecchie pantofole rosse, una civetteria tutta privata che sfiorava e sforzava quegli attimi così incolori della sua vita. Nondimeno una specie di accettazione gli riempiva l’anima, non era colpa sua se la sua esistenza altalenava fra la vita e la dimenticanza di essa, accese una sigaretta e il sapore acre del tabacco gli ricordò la vita e la morte, il fuoco ardente della vita e il sapore acre della morte. Gher entrò nella stanza, era una donna molto bella, riccioli biondi incorniciavano il bel viso ben delineato, occhi grandi verdi, naso di una forma anonima anche come grandezza, ma le narici un po’ allargate davano l’impressione di sopportare la piega di un riso abbastanza costante, bocca generosa, denti squisitamente bianchi e di una grandezza media, collo moderatamente lungo, spalle poggiate sul dorso ma contemporaneamente abbastanza forti da credere che anche il suo torace equilibrato fosse rafforzato da esse. Il seno non era propenso all’esterno per la sua misura ma la sua forma faceva si che esso fosse decisamente qualcosa che apparteneva solo a lei e che lei esibiva al fuori con gran delicatezza e pudicizia, ventre convenientemente tondo senza esagerare, pareva dimostrare un mondo suo interno delicato e materno, fianchi ben distanziati l’uno dall’altro e rotondi dolci come lo era la sua anima, le gambe erano lunghe ma non sproporzionate esprimevano tutta la sua irruenza la sua poca adattabilità, la sua decisione alla vita comunque. Le braccia erano rotondeggianti poco equilibrate, poco armoniose, la pelle delicata, davano l’impressione tali braccia di poter sostenere pesi e di poter essere delicate concretamente rispetto alla vita che vive, le mani non tanto grandi davano la sicurezza di poter essere toccate realmente. Entrò nella stanza, vide Gustav sulla poltrona “Gustav quando sei rientrato dalla tua passeggiata?” –Da poco Gher, stavo appunto alzandomi per avvertirti del mio rientro-. Lei gli si avvicinò con amore e con amore riconoscente lo baciò sulle labbra –Dobbiamo uscire stasera Gustav, a teatro danno un lavoro assolutamente nuovo e si dice che sia geniale il suo testo e la sua realizzazione non voglio mancare a questa occasione , dobbiamo andare, sei d’accordo ? –Certo Gher che ci andremo ho bisogno proprio di distrarmi ho avuto una giornata un po’ faticosa- - Le tue passeggiate Gustav si fanno pesanti ? –A volte si mia cara, ma prepariamoci, andremo a cena in un ristorante italiano e poi a teatro. Tu hai passato una buona giornata Gher? – Si , certo gli allievi di questo corso sono veramente bravi, si muovono con molto ardore e hanno tutti un buonissimo rapporto con la musica, mi piace molto lavorare con loro. - Il teatro era affollatissimo e la gente che circolava era di un eleganza sobria c’era una bella atmosfera quella sera, gruppi di giovani un po’ rumorosi, ma deliziosi nel loro ardore giovanile educato probabilmente ad una buona cultura. Gustav era imponente nel suo abito scuro, camicia bianca e cravattino, tutta la sua serietà gli si leggeva in volto, occhi buoni profondi scuri, naso possente ma non troppo grande e una barba grigia che contornava una bocca troppo carnosa forse per essere quella di un uomo, ma egli l’atteggiava in una chiusura che la rendeva meno espansiva si che il risultato fosse meno carnale, i capelli folti grigi seguivano una corporatura anonima confusa dal grasso in eccesso, le sue mani grosse e grassocce ma visibilmente troppo morbide tradivano un mondo ricco ed inquieto dentro di lui. Aveva l’aria imponente e seriosa, Gustav però si aveva l’impressione che questo stato dell’anima rappresentato così bene dalla sua figura non fosse radicato in lui, si aspettava guardandolo che potesse, scoppiare in una risata gioiosa, si vedeva, s’intravedeva soprattutto agli angoli della sua bocca così ben trattenuta la voglia di gioia, la sua trattenuta esuberanza anche il suo corpo se pur ben camuffato dal grasso un po’ in eccesso comunicava una giovinezza e un gioioso entusiasmo comunicativo; questo poteva intuire un qualsiasi buon osservatore che si aggirasse discreto nel teatro quella sera. Gustav era infatti molto eccitato, interiormente, il teatro gli piaceva molto si aspettava di assistere per di più ad uno spettacolo di tipo nuovo, si sentiva la vita scorrere in ogni parte del corpo. Il teatro per lui era un avvenimento e tutto iniziava prima dello spettacolo, le persone che rappresentavano il pubblico si miravano a vicenda discretamente e con quei suoni intrecciati occhiate discrete costruivano riti fatti di comunicazione che di per sé stesse facevano parte di un avvenimento con il contributo di tutti anche di chi qua e la non sentendosi in comunione con gli altri con gli occhi sgranati in un angolo del teatro al riparo del parapetto vedeva svolgersi e accadere tutto questo. Gher indossava un vestito verde, un colore poco adatto per una soirée in teatro ma lei lo portava stupendamente, la sua indipendenza con il verde tenero era veramente una presenza dolce e splendidamente vivente e luminosa. Gustav e Gher si accomodarono sulle poltrone di mezzo tutto ad un tratto le luci si spensero un coro di spss si sollevò da tutte le parti del teatro che consacrò l’attimo prima dell’inizio dello spettacolo. Uno scenario tetro si aprì allo sguardo di tutti i presenti, il nero era il colore predominante, vecchie poltrone di rosso bordoux sparse in maniera assimetrica nel palco sgualcite e logore davano un senso di disfatta sentimentale, drappi neri irregolari erano sparsi qua e là, un tavolino quadrato che dava l’idea di una durezza poco sostenibile era posto da una parte con qualche bottiglia semivuota di un liquido giallastro poco riconducibile a qualcosa che potesse essere bevuto un suono tenebroso e opprimente sembrava riempire il palcoscenico rendendo tutto oltremodo spiacevole. Gustav che prima dell’inizio si trovava in uno stato di grazia vibrante acceso ebbe un impatto veramente considerevole vedendo la scena sul palco. Tutte le sue vibrazioni vitali si bloccarono all’istante e una forte nausea gli salì alla gola, il suono era penetrante, anche il resto del pubblico si trovava in forte disagio, si sentiva scorrere fra le file della platea e dei palchi un innocente stupore e una paura contratta in ogni presente, che però varcava la propria soglia per incontrare quella del vicino continuando il suo percorso comunicativo. Gustav, stava male si ricordò delle sue pantofole rosse, quelle che aveva vissuto fino allora un segreto e un privato avvicinamento alla vita, si vergognò di questa sua ingenuità quel rosso bordoux sembrava più il ricordo di una vita passata che dava testimonianza di quello che era stato e che adesso non era più. Capì che il suo modo di vivere segretamente i suoi sentimenti di vita avevano in sé del patetico, gli sembravano adesso briciole di vita rubati ad un più grande assetto vivente. Le sue pantofole non erano rosse bordoux ma di rosso arancio. Quelle poltrone sulla scena però gli avevano riportato alla mente tutto questo. Gher sembrava infastidita da questa scenografia, tutto ad un tratto la musica si trasformò in una frizzante melodia e una ballerina vestita di bianco attraversò il triste salotto rappresentato nel palcoscenico. Gustav lasciò cadere la tensione e la nausea si attenuò di colpo. La ballerina teneva un piccolo cesto di un materiale duro color rosa e via via mentre danzava buttava sulle cose polvere argentata. Come per magia le poltrone cominciarono a muoversi ad allungarsi, tutti si accorsero che altro non erano che attori che interpretavano il ruolo di poltrone che fino ad allora erano riusciti a stare ben fermi. Da ogni poltrona piano piano dopo allungamenti bene interpretati né uscì un uomo ed una donna vestiti in maniera molto attillata ed un colore da apparire quasi trasparente, la musica era cambiata adesso c’era una melodia più pacata. La ballerina continuava a danzare e adesso tracciava con i suoi percorsi linee invisibili tra i personaggi che erano scaturiti dalle poltrone. I piedi di Gustav incominciarono a muoversi ritmando la musica, adesso Gustav sentiva la vita tornargli dentro e tanto era allegra che gli venne l’immagine di lui che danzerellava nelle sue pantofole rosse. Un’aria sottile volteggiò per tutto il teatro, si poteva sentire realmente da tante cose che adesso tutti i presenti avevano lasciato andare qualcosa che pochi attimi prima avevano trattenuto. Gher si compiacque di questo, cercò la mano di Gustav. Sapeva che avrebbe trovato il suo calore la sua sottintesa vita un amore così rotondo e accogliente, Gustav fece scorrere dentro la sua mano una tenue ed innocente energia e con quella ricambiò il contatto con Gher. Tutto ad un tratto una musica assordante soffocò l’altra che era tenue, il salotto con tutti gli astanti sul palcoscenico fu inghiottito dal basso e pochi attimi dopo ne uscirono dal pavimento del palcoscenico strisce rosse arancio e viola che si muovevano freneticamente fiamme di fuoco e fumo rappresentato nella nebbia, stridori metallici oltre che la musica assordante sembravano che raschiassero l’aria e l’anima, ne uscirono poi dal pavimento diavoli corredati di coda e corna che saltellando freneticamente ridevano di risa sarcastiche. La giovane ballerina con il vestito bianco era stata l’unica che era riuscita a rimanere sul palco di tutta la scena precedente, adesso distesa a terra respirava piano in maniera impercettibile. I diavoli si erano messi a ballare. Tutto ad un tratto ogni suono e musica fu interrotto e nonostante i diavoli continuassero a ballare nessun rumore si udiva nel teatro. Era il silenzio, piano piano si incominciò a percepire un fievole respiro sul palco. Si aveva l’impressione adesso che l’attenzione uditiva del pubblico fosse quasi al massimo. Via via il suono del respiro fu alzato in maniera impercettibile. Il teatro era stato adattato a questo tipo di spettacolo erano stati messi degli amplificatori in ogni poltrona che furono accesi in quella occasione, il respiro così si sentiva lì dove ogni persona del pubblico sedeva, ci fu chi sentì il suono della persona che gli era accanto, c’è chi sentì il respiro provenire dalla propria poltrona, il risultato generale è che si sentiva il suono del respiro sia dal palcoscenico e tanti dal resto del teatro che si fondevano in un unico suono di respiro. Gher e Gustav riuscirono a sentire il proprio respiro e quello dell’uno e dell’altra, udirono poi il suono totale quello del palcoscenico staccato da quello del resto del teatro. Gher e Gustav riuscirono a stare a tutto questo accettando ogn’uno di loro l’imprevidibilità di questo spettacolo. Ci fu anche chi fra il pubblico si alzò minacciando il rimborso del biglietto. Sul dèpliant dello spettacolo era stato chiarito che esso si sarebbe basato su schemi assolutamente nuovi. La ballerina dal vestito bianco cominciò in maniera impercettibile ad assumere una posizione più sostenuta seppure ancora adagiata sul pavimento del palcoscenico, intanto l’audio delle poltrone del pubblico era stato spento, adesso il suono del respiro si udiva solo proveniente dal palcoscenico. Gustav sensibile com’era ai mutamenti che avvenivano intorno a lui si sentì subito derubato di qualcosa alla quale si era già abituato, respirò profondamente dentro di sé e cercò il proprio respiro, lo trovò ed inspirò. Gher prese la sua mano e la baciò teneramente lui rassicurato si riappropriò del suo respiro lasciando che la tensione piano piano se ne andasse. Gher si sentiva eccitata l’aveva elettrizzata questa esperienza e aveva voglia di gioia, l’atmosfera , l’energia del teatro era fra il sospeso e il realizzato, c’era chi fra il pubblico come al solito risolse tutto tossendo. La ballerina vestita di bianco acquistava adesso sempre più solidità e più forza fino che, dopo un lieve irrigidimento del corpo, dopo aver dato la possibilità alle energie ritrovate di fluire nel proprio corpo con dolcezza sollevando il piccolo torace s’incurvò sulle gambe e magicamente si alzò. Ancora diavoli e fiamme riempivano il palcoscenico ma lei come se non sentisse quella musica stridente ma una melodia paragonabile ad un’alba volteggiò fra i diavoli e fiamme creando vortici di luce. Dopo questa danza la ballerina si trovò da un lato della scena e in quel momento i diavoli cominciarono a perdere i vestiti pesanti, le code, le corna, il fumo cominciò ad assottigliarsi, le fiamme persero energia fino a che sulla scena rimasero delle figure scarne che sembravano che andassero liquefacendosi; scenicamente questo fu risolto facendo adagiare gli attori sul palco, fumo e fiamme svanite e adesso in assenza di musica calò il sipario.
Un applauso scrosciante da parte del pubblico, l’inferno si era liquefatto. Gustav adesso si sentiva esausto, sentiva la durezza di tutto questo spettacolo, si sentiva ombroso, inquieto, adirato,pensava che ogn’uno ha il suo inferno, bastava quello perché rappresentarlo anche in uno spettacolo teatrale e poi quella ballerina che rappresentava sicuramente la vita era pressante così poco educata, così invadente, ogn’uno ha la sua vita perché quella doveva appartenere a tutti non trovava più niente di privato in sé adesso, le sue amate pantofole rosse così gelosamente vissute, tutto il suo mondo, i suoi tesori erano unici si lo erano davvero, sentiva la sua profondità ribellarsi la sua vita aveva spessore, aveva qualità e si intrecciava si con il tutto quando di questo lui si rendeva consapevole ed era la rivelazione essenziale il poter scegliere di esistere o di parcheggiare nella vita, il suo atto di esistenza era individuale, si sentiva confuso adesso come se con quello spettacolo gli fosse stato tolto il libero arbitrio. Si era sentito colpito nelle viscere, Gher lo guardò – Sei contrariato Gustav ?- -Si molto Gher trovo che questo spettacolo varchi confini intimi e non sono d’accordo- - Lo trovo uno spettacolo forte e anche violento ,- ma è senz’altro lodevole per quanto riguarda l’efficacia di quello che vuole trasmettere, Gustav, anch’io mi sento un po’ scossa, vogliamo andare al bar a bere qualcosa? Non ce ne andremo vero Gustav? vorrei finire di vederlo, se però tu non vuoi proprio ce ne possiamo andare- Il sipario si alzò di nuovo, metà del pubblico non fece ritorno alle proprie poltrone. Gustav decise di rimanere anche perché pensò che il peggio della rappresentazione fosse passato. Quando il sipario si alzò la scena era campestre ci si trovava all’aperto, alberi qua e là sfoggiavano le loro chiome, paesaggi lontani, colline. Un uomo vestito attillato con calzamaglia marrone e maglia verde cominciò a parlare. –E’ una storia già strana quella che vi voglio raccontare, nacqui da una delusione sentimentale , crebbi dentro inferni eppure son qui verde come una tenera foglia di primavera marrone come il giovane arbusto che la sostiene, e voi direte è una storia privata perché raccontarla, non so forse perché sono un attore ed è questo il testo che ho scelto di recitare o che il caso, la vita mi ha proposto, mi sento giovane, vibrante pieno di vita, non me ne volete, dicevo che questo è lo spazio di una verde campagna popolata di insetti, uccelli e fiori e più in la le case, i miei paesani, non siamo propriamente colti ma ci siamo costruiti una vita, a proposito io mi chiamo Geppo, cioè recito Geppo e costruisco violini per i musicisti più famosi d’Europa sono molto bravo nel mio mestiere così dicono, io ritengo di avere una certa esperienza amore e dedizione per il mio lavoro esso mi porta nei boschi a scegliere legni che io ritengo adatti, ho un piccolo fondo là, fresco d’estate e ben riscaldato d’inverno. Ho un amore che si chiama Lucia a volte vado in città, ho molti amici: Giovanni, Andrea, Luigi, Mandorla,Lea, Cristina, Roberto, Marco. Via via che l’attore pronunciava i nomi giungevano da più parti uomini e donne, il piccolo Marco, un bimbo dell’età di sette anni, magrolino, il mio cane Stops arrivò in platea un bel cane di media taglia a pelo lungo marrone e bianco. Noi ce ne andiamo adesso è l’imbrunire le luci sul palcoscenico si abbassarono. –Buonasera a tutti e grazie di essere intervenuti qui a vederci ed ad ascoltarci. – Lo spettacolo finì gli applausi furono pochi. Gustav si sentì quasi inerme difronte a questa conclusione, questa normalità campestre aveva l’aria di cancellare o appiattire quello che era stato rappresentato prima. Decise di staccarsi da tutto si rivolse a Gher e le disse tutto di un fiato – Non mi è piaciuto- Gustav e Gher presero un taxi per tornare a casa era notte fonda e una luna luminosa splendeva in cielo. Gher si rivolse a Gustav –Mi è piaciuto questo spettacolo mi ha dato delle sensazioni vere- Gustav l’interruppe – Gher il lato concettuale è stato praticamente annullato, la vita che entra nell’inferno è l’unico concetto significativo, la vita e il resto sono stati giochi di artificio, la vita che liquefa l’inferno con la sua danza e il poter respirare in uno spazio che sembra rarefatto, la vita…. il respiro, si forse hai ragione Gher c’era del buono in quello spettacolo-. Gher sorrise aveva voglia di amare Gustav, di unirsi a lui , il suo caro Gustav così inerme di fronte ai grossi temi della vita così palpitante, così capace di muoversi in spazi ampi, profondi per poi arrivare a sciogliersi a volte su cose così semplici, riusciva ad essere emergendo dalle profondità in cui si trovava, a volte riusciva a portare alla superficie queste profondità e tutto era così stupendo e si poteva trovare in lui consapevolezza, comunicazione, amore e senso di appartenenza con tutti gli esseri umani. Arrivarono a casa Gher si avvicinò a Gustav nel salotto, lui dette uno sguardo alle sue pantofole rosse e alla poltrona poi guardò Gher era bella e presente le accarezzò il volto e tutti e due si baciarono, ciascuno di loro diventò anche spazio per l’altro, Gustav sentì tutti i suoi dubbi svanire, raramente si concedeva a Gher e riusciva fondersi con lei proprio per la sua poca capacità ad essere più naturale nella vita, a lasciarsi andare, ma quella sera fu felice di trovare Gher e se stesso in lei di occupare uno spazio che fosse solo loro dopo quell’atroce spettacolo. La mattina Gustav si svegliò di buonissimo umore, si sentiva apposto , libero , frizzante. Gher era una donna meravigliosa per lui e dopo quella nottata d’amore con lei dove il cuore la sua esistenza avevano avuto un posto senza che la sua mente intervenisse, dove aveva potuto accogliere Gher totalmente senza paura l’aveva rigenerato totalmente e adesso si sentiva nuovo. Allungò la mano sul comodino e senza far rumore per non svegliare Gher che dormiva beatamente guardò l’ora dopo aver preso il suo orologio, erano le sei del mattino, presto, prestissimo ma aveva voglia di alzarsi di annusare l’aria di sentire il fresco sulla pelle. Uscì dal letto, era nudo e la sua nudità lo stupì non si ricordava di esserlo si compiacque, si sentì così curiosamente innocente, osservando il suo corpo mantenendo la sua maturità di adulto. Si accarezzò il torace è si era veramente bello vivere. Una doccia frizzante svegliò del tutto Gustav i pori della sua pelle sembravano che saltellassero tanto rispondevano all’acqua che scendeva dall’alto, un accappatoio morbido e profumato accolse il corpo vibrante di Gustav in un abbraccio avvolgente che mantenne tutto il suo calore. Gustav si diresse in cucina e con passione si preparò un buon caffè profumato, lo bevve con tutta l’anima e con tutto il corpo poi uscì in giardino, il loro giardino. Foglie piccolissime e di un verde tenero e delicato spuntavano dagli alberi da frutta, dalla terra spuntava qua e là qualche filo d’erba ancora incerto, il dondolo se ne stava fermo e aveva l’aria di ascoltare quello che gli accadeva intorno. Le foglie dei rosi erano si tenere e sembravano in attesa di un impegno che l’avrebbe coinvolte più tardi con l’arrivo dei bocci e poi delle rose. I pomi dell’amore scarfugliati avevano l’aria di chi si aspetta una grande rivoluzione , le vecchie foglie che avevano passato l’inverno avrebbero dovuto lasciare il posto alle nuove, le bacche ormai giunte al termine sarebbero cadute e sarebbero spuntati piccoli fiori bianchi con pistilli allungati arancioni che dopo essere stati impollinati sarebbero caduti romanticamente in abbandono totale, pur rimanendo se stessi fino alla loro trasformazione in qualcos’altro non sarebbero caduti in nessun abisso senza fondo sembravano che sapessero di sicuro che sotto di loro ci sarebbe stata la terra. Gustav seguendo il corso delle sue sensazioni sentì la terra sotto i suoi piedi. E si su questo poteva contare era vero esisteva veramente, qualcosa di solido e di concreto, la terra c’era davvero non era invezione o un ipotesi ed era lì per Grazia di Dio, un qualcosa che non aveva bisogno di essere costruita, trovata conquistata, era semplicemente presente alla portata di tutti ed era un qualcosa che sorreggeva tutti, si sentì stranamente eretto come non gli era mai capitato, la sua corporatura grassoccia non di meno la sua sensazione fu di allungamento. Non sapeva se muoversi, sembrava che quella scoperta avvenuta in un istante avesse sancito quel patto fra sé e la terra solo dove si trovava in quel momento, non sapeva Gustav se facendo un passo e spostandosi, la terra l’avrebbe sostenuto adesso che aveva scoperto di essere su qualcosa. Se ne restò così fermo. Passarono alcuni attimi dove Gustav fu tentato di guardare il cielo e levarsi da quell’impiccio ma qualcosa dentro di sé glielo impedì voleva stare bene piantato sulla terra ferma, ora che aveva fatto questa sorprendente scoperta guardava i suoi piedi poggiati su quei dieci centimetri di terra e ciò gli sembrò strabiliante. Cominciò dopo poco a sentirsi a disagio per il fatto di stare lì immobile però non si risolveva a muoversi. Allora venne in suo soccorso la ragione e si disse che era un uomo maturo e senz’altro in tutto quell’arco di tempo doveva aver camminato poggiando i piedi su qualcosa di solido e non volato visto che era sprovvisto di ali, si rispose di si, sicuramente aveva camminato molto e come aveva fatto fino a quel momento poteva farlo ancora, era tutto vero di cambiato c’era che mai si era accorto di camminare sulla terra e non si era mai accorto veramente della sua esistenza. Aveva camminato senza rendersi conto, sarebbe cambiato tutto? La terra l’avrebbe sorretto come aveva fatto sinora? Si ci voleva solo coraggio di avere dei piedi, delle gambe, un cuore, un cervello di essere Gustav per poterlo fare. La terra era lì da sempre solida , tenera, accogliente, spaziale e sosteneva il Mondo intero, lì solo in attesa che la si scoprisse, che si scoprisse la sua esistenza. Riguardò i piccoli arbusti dei pomi dell’amore, dopo che i fiori sarebbero caduti, sarebbero spuntate bacche rotonde verdi con un po’ di scuro da confondersi con il colore delle foglie nuove già mature, poi piano piano le bacche rotonde sarebbero cresciute fino a raggiungere la loro massima espansione, dopo sarebbe venuta con il calore e il sole dell’estate la loro completa maturazione, prima diventando di un arancio pallido fino a diventare di un arancio acceso da assomigliare in lontananza quasi ad un rosso, avrebbero passato l’inverno fino alla prossima primavera. Solo una stagione ma c’era in tutto questo, sentiva e pensava Gustav, un atto di completezza che l’affascinava, si disse che il pomo dell’amore anche se solo per una stagione riusciva ad esprimersi così pienamente attraverso questi mutamenti, avrebbe potuto farlo anche lui, allungò una gamba e poggiò il suo piede sinistro sulla terra che era lì davanti a sé ne sentì tutta la sua vibrazione e la sua solidità, in un impeto di felicità fece un giro su se stesso, salterellò – Caro vecchio Gustav altro che pantofole rosse, si disse questa si che è vita nessuno al Mondo avrebbe potuto distoglierlo da quella felicità e dire che tutto era stato lì eternamente e immancabilmente lì e lui era lì immancabilmente lì con la sua barba un po’ nera e un po’ bianca con i suoi occhi scuri dall’espressione buona e profonda, quel corpo arrotondato e i folti capelli e i piedi e le gambe e le braccia possenti con le quali aveva stretto a sé quella notte Gher, sentiva il cuore battere dentro e fuori, le orecchie tamburellavano era emozionato veramente emozionato sentì che un cambiamento profondo stava avvenendo in lui talmente radicale che si sarebbe riconosciuto comunque in quello che era stato sempre e che ora sarebbe stato, dentro di sé riconobbe anche la paura, si accorse che essa era viva in lui insieme anche alla sua contentezza, non era più paralizzato ma vivevano in lui e con lui e riuscivano a mischiarsi a tutte le altre emozioni che fluivano liberamente in Gustav. Un angoscia profonda l’assalì all’improvviso come una saetta in pieno petto, vivo adesso era vivo in questo presente oltremodo totale di spazio e di tempo nessuna cosa al mondo avrebbe potuto distoglierlo o fargli più paura, la morte non aveva più significato se si poteva morire con la certezza di essere vivi, il senso del pericolo era totalmente dissolto ma la non-vita di Gustav era stata sempre lì in agguato si era fatta in disparte solo per un po’, colpì Gustav in pieno petto riportandolo in un dolore atroce. Gustav sentì la terra scivolargli da sotto i piedi, il cielo sembrò incurvarsi e scendere, i pomi dell’amore s’innalzarono, gli sembrò che il sotto e il sopra invertissero le loro naturali posizioni e Gustav fece una fatica tremenda per non trovarsi a testa in giù e a gambe in su. Si appoggiò all’albero di albicocche in questo sconvolgimento sentiva che l’equilibrio gli veniva a mancare, il cuore gli batteva forte e affannava paurosamente. Le poche lacrime che erano intrappolate negli occhi di Gustav rendevano ancora più vivida la sua espressione spaventata e dolorosa, neppure scuotendolo sarebbe uscita una lacrima da quegli occhi fissati nel terrore e nello sbigottimento. C’era qualcosa di profondamente ingenuo nel volto di Gustav la meraviglia al dolore, alla crudeltà che in un attimo può sovvertire l’equilibrio naturale delle cose come un terremoto che spacca in un istante la terra e il cielo che cade su di essa, Gustav stringeva forte il tronco dell’albero dell’albicocche, riavutosi un po’ravvisò il bisogno di rientrare in casa, precisamente nel suo salotto dove la luce non fosse così chiara ma attenuata dall’ombra dei mobili, dallo spazio occupato dal soffitto, dalle tende marroni mezze tirate che coprivano parte della grande finestra, si sarebbe seduto sulla sua poltrona ottima per mettere a riposo la sua faticosa non-vita, un posto, una posizione tranquilla dove la vita non sarebbe mai arrivata non avrebbe mai potuto farlo in quel salotto c’era la sua rappresentazione e il vero e il falso non si incontrano mai sullo stesso significato. Avrebbe recitato la vita Gustav come aveva sempre fatto, uscendo ogni tanto allo scoperto per rassicurare se stesso e gli altri che lui era sempre vivo, che non importava chiamare nessun medico per verificare se fosse vivo o morto. Caro vecchio Gustav così delicato, così fragile nella sua ricerca, così commovente. Gustav pensò alla sua poltrona come un naufrago in un mare in tempesta pensa a qualcosa che galleggia a cui aggrapparsi. Gustav era stordito avrebbe potuto lasciare la presa e con fatica raggiungere il salotto e la sua poltrona, le sue pantofole rosse sarebbero state lì davanti come sempre al loro posto. Preferì cadere come un sacco svuotato ai piedi dell’albicocco, preferì così non per risparmiare le poche energie che gli erano rimaste ma perché sentì che se pur sarebbe rimasto un uomo commovente per sé e per gli altri lo sarebbe stato così seduto sulla terra, caduto in giardino in mezzo ad una luce chiara e un cielo azzurro, evidente a sé e agli altri, nessuna rappresentazione della vita dunque ma un incapacità di lui a vivere la vita reggendosi in equilibrio nell’Universo grande e la non –vita l’avrebbe preso qui dove esisteva la vita e lui sarebbe stato il solo incidente in quel giardino; era terrorizzato anche da questa sua ultima decisione, che avrebbe detto a Gher e ai suoi amici? L’avrebbero preso certo per pazzo se avesse detto loro che non voleva più muoversi di lì, finchè lui non fosse cambiato, forse spiegando Gher avrebbe capito, ma come giustificare quella posizione che poteva sembrare così ridicola? Un uomo maturo seduto sulla terra, come avrebbe potuto giustificarsi? Un passerotto durante il suo tragitto occupato com’era a becchettare l’invisibile pasto qua e là, si avvicinò a Gustav non si era accorto di lui tanto egli ormai era diventato immobile e compenetrato nel tutto di quel giardino. Passato circa un quarto d’ora Gustav si calmò ritrovò in se stesso il suo rifugio e si convinse che non sarebbe servito a nulla restare in quella scomoda e assurda posizione come sarebbe stato assurdo pensare di poter tornare a sedere sulla sua poltrona come prima, era solo la sua vecchia e fedele poltrona e non l’avrebbe certo rinnegata per questo. Tutta colpa di quello spettacolo teatrale se aveva assaggiato la vita, ma ne era contento e adesso che avrebbe fatto? Quello che sempre aveva fatto cercare di esistere, adesso ne era ancora più convinto si guardò le mani erano delle belle mani, si poteva aver fiducia in lui, erano delle mani vere fornite di tutto e si notava in loro una grande sensibilità. Si alzò da terra, il suo viso era di un colore pallido, un colore bluastro gli contornava gli occhi che adesso avevano un’espressione stanca, ogni tanto lo scuoteva un fremito, si diresse verso casa e attraversata la prima stanza luminosissima raggiunse il salotto prese una sigaretta dalla scatola d’argento con i risvolti laterali eseguiti a mano, accese la sigaretta e si diresse alla finestra che dava sul giardino chissà a cosa stava pensando pensò Gustav, chi sa in quale Mondo o spazio adesso si trovava. Quello che avvenne nell’arco di un giorno non ve lo posso raccontare fu qualcosa di talmente autentico e prezioso che Gustav mi pregò di non trascriverlo, posso dirvi questo che Gustav trovò una risposta alla sua domanda seppe sicuramente in quale Mondo in quale Spazio fosse. Con un sorriso che gli si apriva dentro l’anima con una puntina di soddisfazione e di emozione che bene non seppe decifrare, sentì chiaramente un pensiero che si trasformò in parole dentro di sé
-Sono tornato, sono tornato sulla Terra.
Marisa

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